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"Con la scrittura non andrai mai da nessuna parte.

Cosa credi, che diventerai una scrittrice famosa?

Di poterlo fare come lavoro?

Se credi questo, sei davvero una stupida."

​

Cosa risiede nel cuore di chi scrive?
Tanti sogni, alcuni infranti come cristalli delicati, tante storie scritte e lasciate nel cassetto per paura del giudizio, altre pubblicate.
Molte paure, tanti dubbi, momenti bui, ferite insanate e storie mai raccontate.

​

Sono Mia Valentine, e questa è la mia storia.

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Il Blog di Mia Valentine

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E un altro anno se ne va.


L'autunno è arrivato anche quest'anno, eppure io non riesco a dimenticare un'estate particolare. Si tratta dell'estate 2013.

Sì, ormai sono quasi passati dieci anni, eppure quell'estate ha segnato la mia vita indelebilmente, sopratutto quella da scrittrice.


Nell'estate del 2013 mi sono successe delle cose (l'ho già accennato, è vero).

Quell'estate:


- sono stata ammessa alla Scuola Holden;

- sono stata prima stalkerata dal mio datore di lavoro e poi licenziata;

- ho rischiato di morire e ho scoperto di avere l'endometriosi;

- sono stata lasciata dalla persona che amavo.


Sono un bel po' di cose, eh?


Era una mattina di giugno, calda e bellissima. A quei tempi vivevo in una cittadina della provincia di Como, a una traversa di distanza dal residence in cui vive Francesco Facchinetti, in un piccolo monolocale, da ben tre anni.

Tre anni di lavori di ogni tipo, sottopagati e con contratti a tempo determinato, bollette e affitto da pagare.

L'università? Il primo sogno conquistato e poi abbandonato. O pagavo le tasse universitarie e non mangiavo per tre mesi, o pagavo l'affitto. E' così che ho dovuto lasciare l'università, solamente al secondo anno.


Ma non mi sono fatta fermare, all'epoca, no. Anche se non potevo più frequentare l'università e ho dovuto dire addio al sogno di laurearmi in editoria, avevo pur sempre la scrittura. E, difatti, nel 2012 ho pubblicato il mio primo romanzo: all'epoca s'intitolava L'amore ha il colore dei tuoi occhi, ora Così Dolce.


Era una mattina di giugno, dicevo. E per caso, ho letto un articolo che parlava della Scuola Holden, scuola esclusiva per scrittori fondata da Alessandro Baricco. Era un sogno irrealizzabile? Forse. Fatto sta che ho provato a dare l'esame di ammissione: ho fatto un test, un video e scritto due racconti appositi; poi ho inviato tutto, in attesa.

L'email è arrivata insperata, un po' come la lettera di Hogwarts per Harry: ero stata ammessa. Tra più di duemila domande d'iscrizione, ero tra i cinquecento ammessi per quell'anno.

Lo stupore e la felicità sono durati ben poco. Non avevo nessuno disposto ad aiutarmi economicamente, men che meno la persona con cui convivevo da tre anni (che chiameremo R e basta).


R odiava, letteralmente, il fatto che io scrivessi. Che avessi pubblicato un romanzo, per R, era un fatto disturbante, qualcosa che mi rendeva meno seria ai suoi occhi. Il romanzo piaceva ai lettori? Poco importava. Volevo frequentare una scuola per scrittori? Figurarsi.

E la famiglia? Stesso discorso.

Ed è così che i sogni s'infrangono: quando non hai nessuno pronto a sostenerti. Perché puoi essere deciso e impegnarti quanto vuoi, ma se non hai nessuno, nessuno, nessuno disposto a credere in te e aiutarti, i sogni vanno a farsi benedire.


Mi sono fermata? No.

Ho rinunciato alla Holden, ma non avevo ancora rinunciato alla scrittura. Ho continuato a scrivere, a pubblicare. Se ero stata ammessa, qualcosa doveva pur significare.


Nel frattempo, l'ennesimo lavoro a tempo determinato, da fame. Ma era così che andava, vivevo di giorno in giorno, prendendo quel che arrivava e facendomelo bastare.

Ma la prima goccia era caduta. Il vaso non rischiava ancora di traboccare, ma la goccia è caduta.


Una mattina d'agosto, arriva il dolore.

Forte, più di qualsiasi altro che avessi mai provato (e già ero avvezza al dolore fisico, ogni singolo mese). Ma quello era sconosciuto, era un dolore che piegava in due.

La corsa in ospedale in ambulanza, il codice rosso, gli esami, ecografie, tac, e il trasferimento in un altro ospedale per essere operata d'urgenza. Il tempo era contato.

Sono stata operata e salvata per un soffio. Tutta colpa di una malattia che si chiama endometriosi, e che da allora mi ha cambiato la vita.

Ecco la seconda goccia.


Mi sono ripresa, mi sono fatta forza, da sola, e mi sono rialzata. Avevo ancora i miei sogni con me, nuovi romanzi da scrivere.

E avevo ancora un lavoro, anche se per poco.


L'estate era agli sgoccioli, anzi, proprio come ora, l'autunno era arrivato. Finché una mattina, tornando al lavoro, mi sono ritrovata sbattuti sul bancone fogli e fogli: stampe della mia TL di twitter, commenti e messaggi privati, post di Instagram, riferimenti al mio romanzo, riferimenti ad un racconto erotico pubblicato quell'estate. Tutto lì, stampato nero su bianco come se fosse una colpa.

E una busta con quel che rimaneva dei soldi che mi doveva. Il mio capo mi stava licenziando, e perché? Perché non gli piaceva quello che scrivevo.

Ecco la terza goccia. L'acqua era al bordo del vaso, ne bastava solo una e sarei crollata.


E la quarta goccia è arrivata, immediata.

Anziché difendermi, la persona che amavo (e che avrebbe dovuto amarmi) mi ha condannata. Non andavo più bene, ero sbagliata. Non potevo più essere amata.

Scrivere era stupido, scrivere mi aveva fatta licenziare.

La quarta goccia è caduta, e il vaso è strabordato.


Dopo tutti i sacrifici che avevo fatto, dopo i sogni infranti, dopo essere quasi morta.

È stato allora che ho mollato. È stato allora che ho smesso di scrivere.

Qualcosa dentro di me si era rotto, irrimediabimente.




Mia madre si oppose fin da subito al mio desiderio di frequentare l'università. Per lei non serviva a niente, mentre serviva che io trovassi un lavoro. No, non perché versavamo in condizioni critiche, ma perché il suo egoismo era più forte di tutto - lo dico come un dato di fatto, senza rancore. Mia madre non è stata la classica mamma, soprattutto dopo il divorzio da mio padre. Lei non si interessava di me, della scuola, dei miei voti. Avrei potuto stare in giro tutto il giorno, e a 16 ritrovarmi già incinta, per quel che ne sapesse lei, o non andare a scuola e farmi bocciare ripetutamente. Forse, avrei dovuto farlo.

Andare in discoteca, farmi le canne, uscire con i ragazzi, fare l'adolescente, insomma. Invece no, di adolescente in casa ce n'era già una, ed era lei. Io passavo i pomeriggi e i sabato sera a leggere libri, o a giocare alla Play Station insieme a mio fratello. Così, per anni. Col sogno di diventare scrittrice, l'unica cosa che contasse era quello, per me. Ma anche questo, lo ignorava.


Alla fine, mi ha impedito di iscrivermi all'università. Sono fioccati i litigi, le parole avvelenate. Ma quella che doveva sacrificarsi, ero io. Ho iniziato a lavorare per contribuire alle spese che lei non pagava e lasciava indietro. E il nostro rapporto, che ha smesso di essere quello di madre e figlia quando avevo nove anni, è andato in pezzi in modo definitivo.

È stato così che, due estati più tardi, dopo aver passato un anno terribile a fare un lavoro che odiavo, dopo aver sfiorato l'anoressia, e dopo averlo abbandonato per poi iscrivermi a Lettere Moderne contro la volontà di mia madre, che all'età di 21 anni e senza un soldo sono andata via di casa.

Quando ho capito che volevo fare la scrittrice, ho capito due cose: la prima, che dovevo leggere, leggere, leggere tanto per imparare, e poi esercitarmi; la seconda, che avevo scelto (o non scelto) chiaramente la scuola superiore sbagliata.

Ma ormai, per la seconda, potevo farci poco.


Dopo quell'epifania, è stata dura accettare di dover proseguire degli studi che non facevano

per me, e col tempo il mio odio per le materie economiche è aumentato - l'unica cosa che ho imparato e che mi è stata utile in quella scuola è stato imparare a scrivere con tutte e dieci le dita senza mai guardare lo schermo del pc. A tenermi a galla, c'è sempre stata una piccola ma grande, solida sicurezza: sarei diventata scrittrice. Era una visione fulgida come una stella, e illuminava anche le giornate più buie. Non finiva tutto lì, con la scuola superiore, una volta diplomata avrei sempre potuto iscrivermi all'università, a Lettere Moderne. E cosi, ho iniziato a scrivere. Dapprima su di un taccuino, una storia d'amore ambientata tra i banchi di scuola: la protagonista si innamorava del figo di turno, ovviamente, il più bello e impossibile. Scrivevo un capitolo, e il giorno dopo lo leggevo alle mie amiche di scuola. Poi, sono passata a scrivere al computer, e sempre per esercitarmi, ho scritto una fanfiction di Final Fantasy X, un romanzo intero. E ho letto, tanto. Ammirare le parole altrui ha mantenuto viva la luce del mio sogno. E dopo anni, quando all'esame di maturità, il docente esterno di Lettere e Presidente della commissione mi ha chiesto "signorina, lei ha preso il massimo del punteggio nel tema di Italiano, e io stesso le faccio i complimenti; che cosa ci fa quindi, in questa scuola?", io ho sospirato e ho risposto: "non lo so, ma so che voglio fare la scrittrice". Mi diplomai con 80. Davanti a me, c'era finalmente quel "dopo" tanto atteso.

Avevo una cosa sola, in testa, l'università. Fu allora che incontrai un grande ostacolo verso il mio sogno. Mia madre.

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